Viaggio attraverso i mondi di J.R.R. Tolkien

J.R.R. Tolkien

1 Il macrocosmo di Arda

Tolkien, lungo le pagine delle numerose lettere scritte per spiegare la propria opera[1] e in prefazioni e commenti ad essa, non intendeva mai se stesso come “the Writer of the Story” (lettera 253), bensì semplicemente come il sub-creatore che tramandava e registrava attraverso l’uso del linguaggio una conoscenza passata, una realtà mitica ideata da una mente più grande, quella di Ilúvatar durante la musica degli Ainur, al principio della propria mitologia.[2] Il ricorrente uso di espressioni quali “si dice”, “si racconta”, “si narra che” avvalorano le convinzioni dello scrittore riguardo al proprio lavoro come prodotto di una trasmissione orale – paragonabile all’epica classica o al ciclo arturiano – che sarebbe andata a costituire una vera e propria mitologia completa per l’Inghilterra.

Arda, il mondo che va disegnandosi attraverso la creazione fantastica, attraverso quell’avventurarsi nel reame periglioso di Faëria di cui il Nostro parla nel saggio Sulle fiabe, nato inizialmente come sfondo per i linguaggi ideati per gioco e passione fin dall’adolescenza, non smetterà mai di evolversi nel corso di quasi sessant’anni di carriera, dal 1917 al 1973, anno della sua morte. A guisa delle parole e dei linguaggi, le immagini del Secondary World si manifestano come una visione nella mente di Tolkien, e prende forma un mondo complesso, di cui, attraverso le tante versioni di ogni racconto che compone la mitologia, sarà possibile tracciare una precisa geografia. A riprova di tutto ciò vi sono le dettagliate mappe, disegnate dallo stesso autore, che corredano tutti i suoi principali scritti e mostrano la varietà dei territori di Arda, un mondo fuori dal comune, che si divide in diverse regioni, ognuna con caratteristiche, significati e simbologie specifici, che arrivano a costituire veri e propri mondi a sé stanti.

La stesura di un vero e proprio atlante da parte di Karen Wynn Fonstad (1945-2005), L’Atlante della Terra di Mezzo (1981)[3] e la pubblicazione di svariate mappe da parte di Christopher Tolkien nei volumi de La Storia della Terra di Mezzo (History of Middle-earth) dimostrano come Eä, nome che si riferisce all’intero universo tolkieniano, non sia la semplice Isola che non c’è di Barrie o il Paese delle meraviglie di Carrol, bensì un macrocosmo in continuo cambiamento, dovuto sia alle tante bozze, mai definitivamente compiute, lasciate dall’autore sia ai terribili eventi che formano la storia della mitologia, alterando la forma e la costituzione di Arda nelle varie Ere.

2 Númenor: l’isola della stella

Persino ne La via perduta (The Lost Road), per quanto quest’opera incompiuta abbia origine come viaggio nel tempo, è possibile scorgere una geografia composita, che caratterizza i luoghi accennati ne I capitoli non scritti.[4] Trasferendosi da un’epoca all’altra, i protagonisti del racconto non possono non visitare, nella forma dei loro alter ego storici ovviamente (in particolare nel personaggio di Ælfwine), diversi territori, appartenenti sia al mondo reale – le isola britanniche nello specifico (Porlock, l’Irlanda, ecc.) – che al mondo fantastico, come “la Via Diritta” o la stessa Eressëa,[5] prima di giungere in quello che, secondo il progetto ipotizzato dal curatore dell’opera sulla base delle note lasciate dal padre, sarebbe stato l’episodio finale di Elendil e Herendil sulla mitica isola di Númenor, riallacciando l’intera storia alla mitologia principale de Il Silmarillion:

Come ricompensa per le loro sofferenze nella lotta contro Morgoth, i Valar, i Guardiani del Mondo, donarono agli Edain una terra ove potessero vivere al riparo dai pericoli della Terra di Mezzo. La maggior parte di essi attraversò il Mare; guidati dalla Stella di Eärendil, giunsero alla grande Isola di Elenna, la più occidentale delle Terre Mortali. Ivi fondarono il reame di Númenor.[6]

Così scrive Tolkien nell’Appendice A, Annali dei Re e Governatori, de Il Signore degli Anelli, riguardo alla formazione del più grande dei regni fra gli uomini, in quell’isola ispirata al mito di Atlantide e motivo ricorrente dei suoi incubi (cfr. capitolo precedente). È questo un mondo distante dalla Terra di Mezzo, conosciuto anche come “Ovesturia” (Terra d’Occidente), isolato dalle altre regioni e raggiungibile solo via mare; una terra che si trova “a metà tra i mondi”, come afferma lo stesso Elendil mentre passeggia nel proprio giardino alla ricerca del figlio, in principio ai capitoli Númenóreani de La via perduta: in questo caso il nostro personaggio intende che l’isola in cui è “destinato a dimorare” occupa una posizione a cavallo fra la Terra di Mezzo, dove abitano gli altri Popoli Liberi, e il Reame Beato, sede dei Valar (gli Ainur o Potenze), che gli uomini di Númenor erroneamente desiderosi di arrivare all’immortalità alla pari degli Elfi, come si vede nel corso del racconto, mirano a raggiungere con tutte le loro forze, una volta corrotti da Sauron.[7] Inoltre, questa frase può prestarsi a un’ulteriore interpretazione, qualora venga considerata in relazione al progetto compositivo de La via perduta, vale a dire il passaggio dei personaggi Alboin e Audoin dal mondo reale, l’Inghilterra del XX secolo, al mondo o ai mondi fantastici. L’isola di Númenor diverrebbe così una tappa intermedia “a metà tra i mondi”, tra la comune vita di tutti i giorni e il ristoro, il senso di evasione, la gioia finale che Faëria e il fantastico concederebbero, secondo il pensiero del professore di Oxford.

Tutte le notizie sulla creazione di questo mondo, la particolare forma a stella e la costituzione del territorio, il glorioso popolo che vi abita, i Dunedain, e la loro lunga e complessa storia fino alla decadenza si ritrovano in numerosi scritti sparsi del professore di Oxford: dalla sopra citata Appendice de Il Signore degli Anelli, passando per i Racconti Incompiuti[8], al racconto dell’Akallabêth, incluso ne Il Silmarillion, dove si narra della distruzione dell’isola.[9] I primi due testi in cui compare quest’episodio, l’onda gigantesca che travolge tutto come nella visione che infestava Tolkien, sono le due versioni de La caduta di Númenor (The Fall of Númenor). Dal confronto dei suddetti testi è stato possibile tracciare un profilo del regno di Númenor e dei suoi abitanti, fino a elaborare, anche in questa circostanza, una mappa dettagliata di questo mondo.

3 Da Valinor al Beleriand

Tolkien sfrutta per mostrare il proprio universo mitologico, così com’era stato deciso per l’impianto strutturale de La via perduta, uno dei mezzi più caratteristici della narrazione fantastica e dell’epica antica, da cui ha tanto tratto ispirazione: il viaggio.[10] Il Legendarium che si viene a creare, e raggiunge ne Il Silmarillion una forma quasi unitaria grazie al lavoro del figlio Christopher, narra, oltre che di una costante lotta fra bene e male, di lunghi viaggi attraverso i luoghi di Arda. Il Reame Beato di Valinor, conosciuto anche come Terre Imperiture o Terre Immortali, è il primo mondo a essere esplorato e descritto: qui giungono, dopo una prima migrazione verso Ovest, chiamata pertanto “Grande Viaggio”, i primi Elfi, gli Eldar, svegliatisi presso il lago Cuiviénen sotto le stelle.[11] Il grande continente di Aman che costituisce il regno dei Valar è pressoché irraggiungibile dai comuni mortali ed è collegato alla Terra di Mezzo mediante il Ghiacciao Stridente a Nord. A questo mondo appartiene anche la tanto nominata isola di Tol-Eressëa, il cui porto di Avallónë è la prima cosa visibile dai monti di Númenor: come il nostro autore già narra nelle due versioni de La Caduta di Númenor e in seguito nell’Akallabêth in maniera definitiva, il tentativo di metter piede su queste terre da parte del popolo dei Dunedain sarà la causa del definitivo allontanamento di questo mondo immortale dalle antiche rotte marittime e della conseguente sfericità di Arda.

La Caduta di Númenor, la Seconda Caduta dell’Uomo (o l’Uomo riabilitato, ma ancora mortale) provoca una fine catastrofica non solo della Seconda Età, ma anche del Mondo Antico, il mondo primordiale della leggenda (immaginato piatto e limitato).[12]

Solamente alcuni esseri privilegiati hanno la possibilità, all’interno della mitologia tolkieniana (tale argomento sarà trattato nel capitolo successivo), di approdare in un mondo che si potrebbe equiparare al Giardino dell’Eden descritto nel Libro della Genesi,[13] una terra che pur essendo costituita da montagne, pianure, laghi e foreste, rimane eterea e dal carattere prettamente mitico.

Dietro le mura delle Pelóri, i Valar stabilirono il proprio dominio nella regione che è detta Valinor; e lì erano le loro case, i loro giardini, le loro torri. In quella terra ben custodita, raccolsero grandi provviste di luce e di tutte le cose più belle che si erano salvate dalla rovina; e molte altre più belle ne fecero, e Valinor divenne persino più splendida della Terra di Mezzo durante la Primavera di Arda; ed era beata, perché gli Immortali vi dimoravano, e nulla vi appassiva o imbozzacchiva, né v’era macchia alcuna su fiore o foglia in quella contrada, e ignote erano corruzione o malattia a tutto ciò che vi viveva; perché le stesse pietre e le acque erano consacrate.[14]

Tuttavia, così come nel racconto biblico, il male, che in Tolkien è incarnato nel Vala ribelle Melkor (gli Elfi lo chiameranno poi Morgoth), non esita a insinuarsi all’interno di Valinor, gettando discordia e malignità tra i figli di Ilúvatar e rubando le gemme dette “Silmaril”, così da provocare un altro viaggio, quella che viene detta la fuga dei Noldor (la stirpe più potente tra gli Elfi), verso la Terra di Mezzo, per poter dichiarare guerra allo stesso Melkor.[15]

La Terra di Mezzo è la parte di Arda dove si svolgono la maggior parte degli eventi citati nei testi di Tolkien riguardanti i figli di Ilúvatar e i Nani (contrariamente a Elfi e Uomini, i Nani furono creati dal Vala Aulë).[16] Il nome “Middle-earth” non è stato inventato dal professore di Oxford, ma egli stesso precisa nelle sue lettere come abbia per la prima volta incontrato questo termine in un frammento in Inglese antico studiato nel 1914: Éala éarendel engla beorhtast / ofer middangeard monnum sended (Salve Earendel, il più brillante degli angeli / sopra la terra-di-mezzo inviato agli uomini).[17] Inoltre, nelle mitologie nordiche, germanica e norrena, il mondo abitato dagli uomini aveva diversi nomi, quali Midgard, Middenheim, Manaheim e Middengeard, da cui Tolkien derivò il termine “Middle-earth”.[18] In alcune lettere del Nostro si legge:

Io ho la mentalità dello storico. La Terra di Mezzo non è un mondo immaginario. Il nome è la forma moderna (apparsa nel XIII secolo e ancora in uso) di middel-erde, l’antico nome di Oikuméne, il posto degli uomini, il mondo reale, usato proprio in contrasto con il mondo immaginario (come il Paese delle Fate) o come mondi invisibili (come il Paradiso o l’Inferno). Il teatro della mia storia è su questa terra, quella su cui noi ora viviamo, solo il periodo storico è immaginario. Ci sono tutte le caratteristiche del nostro mondo (almeno per gli abitanti dell’Europa nord-occidentale), così naturalmente sembra familiare, anche se un pochino nobilitato dalla lontananza temporale.[19]

Queste parole chiariscono ancor più il fatto che Tolkien non si sentisse il vero creatore delle proprie storie, bensì una sorta di archeologo che riporta alla luce racconti antichissimi, che si svelano davanti ai suoi occhi, come detto nei capitoli precedenti, grazie ai sogni e alla conoscenza del linguaggio elfico.[20] Per di più, l’identificazione della Terra di Mezzo, non con un “mondo immaginario”, ma in opposizione al “Paese delle Fate” rinvia indirettamente alla frase di Elendil ne La via perduta citata in precedenza, riguardo al concetto che l’isola di Númenor si trovi tra il mondo reale – la Terra di Mezzo – e il Paradiso, cioè le terre di Valinor, cui ogni popolo aspira.

Ritornando alla geografia della Terra di Mezzo, questa è un mondo composito in cui si delineano realtà molto diverse tra loro, causate dalle migrazioni degli Elfi e dagli spostamenti dei grandi casati di quelli che sono chiamati i Secondogeniti, vale a dire gli uomini mortali.

Nel capitolo de Il Silmarillion intitolato Il Beleriand e i suoi regni, il nostro autore spiega come i re dei Noldor provenienti da Valinor divisero insieme ai Sindar, gli Elfi grigi già presenti in quei territori,[21] le contrade del Beleriand, la regione Nord-occidentale in cui hanno luogo i viaggi, le battaglie e tutti i fatti storici della Prima Era.[22] In questi luoghi, in opposizione alla roccaforte di Angband nell’estremo Nord, dove risiedeva il malvagio Morgoth, si vengono a creare i regni nascosti degli Elfi, quali il Nargothrond, una fortezza costruita dal re Finrod sulle rive del fiume Narog[23]; le foreste del Doriath (in Sindarin “terra della cintura”) sede del re Thingol e della regina Melian, da cui comincerà a intravedersi quella grande importanza che Tolkien, nella costituzione del proprio universo fantastico, darà alla natura e ai boschi (come sarà poi evidente ne Il Signore degli Anelli)[24]; o la mitica città di Gondolin nella Valle di Tumladen, che Turgon eresse celata tra le montagne per volere del Vala Ulmo, prima che venisse poi definitivamente distrutta dagli orchi di Morgoth nell’anno 511.[25] Questa città, il cui nome in Sindarin significa di fatti “Rocca nascosta”, può benissimo essere considerata un mondo a sé stante, poiché, protetta dai Monti Cerchianti (gli Echoriath), rimane invisibile agli occhi dell’oscuro signore e vi si può accedere solo tramite una lunga galleria scavata dalle acque del fiume Sirion. La sua fondazione e costituzione rimandano poi nuovamente alla Genesi: così come Abramo è spinto verso la Terra Promessa, Turgon è condotto da una visione di Ulmo, che gli parla in sogno (ancora una volta ritorna quella componente onirica tanto cara a Tolkien), verso questa mitica regione per fondare una città che gli ricordasse la grande Tirion in Valinor, la sede dei Noldor prima che questi si dipartissero dal Reame Beato.[26] Gondolin diventa pertanto un regno inaccessibile dal mondo esterno, un chiaro esempio di Paradiso in terra: nonostante la rovina degli altri territori del Beleriand, dovuta alle lunghe battaglie contro Morgoth, la città prospera rimanendo sicura agli attacchi di quest’ultimo. Turgon vi forgia poi due immagini degli antichi alberi di Valinor (che prima della creazione del Sole e della Luna illuminavano tutta Arda), chiamate Laurelin, dai fiori d’oro, e Telperion, dai fiori d’argento.

Solamente tre membri della stirpe degli Uomini avranno il privilegio di giungere al cospetto di re Turgon, i fratelli Húrin e Huor, condotti dall’aquila Thorondor,[27] e Tuor figlio di Huor, il quale viene mandato come ambasciatore da Ulmo per avvertire della decadenza della città. Tuttavia il re supremo dei Noldor non presterà ascolto a colui che andrà in moglie alla figlia Idril, e, anche a causa del tradimento dell’elfo Maeglin, questo mondo nascosto verrà scoperto da Morgoth e distrutto.[28] Quest’evento preannuncia l’ultima grande battaglia della Prima Era, la cosiddetta “Guerra d’Ira” (The War of Wrath), tra i Valar e Morgoth, in cui la maggior parte delle regioni del Beleriand andranno distrutte, dando così inizio alla Seconda Era di Arda.[29]

4 Un Aldilà nascosto

I viaggi, attraverso cui Tolkien descrive e mostra in maniera maggiormente dettagliata i mondi fantastici che compongono la Terra di Mezzo, rimangono senza dubbio quelli che costituiscono il filo conduttore dei due romanzi portati definitivamente a termine: Lo Hobbit e Il Signore degli Anelli. Bilbo Baggins con i tredici nani prima, e Frodo e la Compagnia dell’Anello poi esplorano nelle loro perigliose avventure mondi compositi e diversi da loro, attraverso quello che si potrebbe definire come un iter iniziatico (simile a quello delle chansons de geste e delle saghe norrene) che muta i personaggi sia interiormente che esteriormente. A tal proposito, Stefano Giuliano, in un saggio intitolato Le radici profonde non gelano,[30] afferma che Il Signore degli Anelli si fonda sul procedimento narrativo della discesa agli Inferi con conseguente morte e rinascita simbolica dei protagonisti, inquadrando il romanzo come un vero e proprio viaggio nell’Aldilà.[31] Questo è un topos di retaggio ancestrale, tipico dei racconti mitologici ed epici di tutte le civiltà dall’estremo Nord celtico al bacino del Mediterraneo: l’Aldilà è una regione parallela al mondo degli uomini ma non percepibile abitualmente dai mortali. Si configura come un Altro Mondo che può essere caratterizzato sia come luogo idilliaco, una valle o un’isola luminosa situate in luoghi lontani e nascosti, quali potevano essere i Campi Elisi di cui parla Virgilio nell’Eneide, sia come una landa desolata nelle viscere della Terra, avvolta dalle tenebre, popolata da esseri mostruosi, quali erano l’Ade o il Tartaro.[32]

Questi aspetti si ritrovano in molti dei mondi descritti e raccontati nell’opera di Tolkien lungo i viaggi dei personaggi coinvolti. Nel secondo caso in particolare, è facile identificare il regno dell’Oscuro Signore Sauron, Mordor (termine che in inglese antico significa “assassinio, morte violenta”). È questo un mondo orrido, caratterizzato dalla morte e dal dolore, una vera e propria Waste Land, dove le piante e gli esseri viventi lottano disperatamente per sopravvivere e le rocce vulcaniche avvolgono tutto nella loro asprezza, che qualifica la brulla pianura del Gorgoroth, la valle del terrore ricolma di fossati e spaccature.[33] Al centro si erge Monte Fato (Mount Doom), Orodruin in Sindarin, l’imponente vulcano che dà a questa terra la sua terribile fisionomia e in cui si trova la Voragine del Fato (Cracks of Doom), o Sammath Naur in Quenya: una vera e propria porta per gli abissi, la fucina più grande della Terra di Mezzo, dove Sauron aveva forgiato l’Unico Anello.[34]

Era giunto nel cuore del regno di Sauron, alle fucine della sua antica potenza, le più grandi della Terra di Mezzo; ogni altro potere veniva qui sopraffatto. Fece alcuni passi incerti e timorosi nell’oscurità, e ad un tratto balenò un lampo rosso, infrangendosi contro il tetto nero. Sam vide allora che si trovava in una lunga caverna o galleria che penetrava nel cono fumoso della Montagna. Poco più avanti il pavimento e i muri da ambedue i lati erano attraversati da una grande fessura dalla quale si sprigionava il rosso bagliore, a volte avvampando, a volte spegnendosi nell’oscurità; dagli abissi venivano rumori e boati come di grandi macchine sbuffanti e rombanti.[35]

La meta ultima del viaggio dei giovani hobbit Frodo e Sam è il luogo che più si avvicina agli Inferi, in cui il protagonista sembra definitivamente precipitare una volta infilatosi l’Anello al dito, prima della distruzione di quest’ultimo.[36] In più Mordor, oltre ad avere i tratti fondamentali dell’Oltretomba, presenta anche chiari riferimenti alla realtà contemporanea, come per esempio l’inquinamento atmosferico e delle acque, l’estrazione di minerali, l’accumulo di scorie che portano alla rovina e allo sfruttamento del paesaggio con il solo fine di costruire macchinari e attrezzature moderne[37]: si riscontra in questo caso quel continuo intrecciarsi tra mondo reale e mondo fantastico presente nelle opere del professore di Oxford fin dalle origini; nonché quell’indiretta critica dell’autore verso le nuove tecnologie e la sua nostalgia verso un mondo semplice e dedito alla terra e alla cura della natura, quale potrebbe essere la Contea degli hobbit.

Tuttavia, il regno di Mordor non è il solo mondo dalle caratteristiche infernali in cui avviene una catabasi dei personaggi. Ne Il Ritorno del Re, Aragorn, nei pressi dei campi di Dunclivo dove si stanno radunando le truppe di Rohan in partenza per la guerra, si avventura lungo i Sentieri dei Morti (Paths of the Dead) accompagnato dai fidati amici Legolas e Gimli, al fine di reclutare quei soldati che in passato avevano prestato giuramento a Isildur, signore di Gondor, ma che, non rispettandolo, erano rimasti a metà tra la vita e la morte. Tra montagne deserte e prive di vita, nell’oscurità del bosco di Dimholt, in una parete di roccia a strapiombo all’estremità di una gola, si apre dinanzi alla Grigia Compagnia la Porta Nera, talmente scura da essere associata alla bocca della notte: “come se la notte spalancasse la porta”. Sembra proprio che Tolkien si sia ispirato all’ingresso dell’Averno descritto da Virgilio: “C’era un’enorme caverna dalla vasta apertura tagliata nella roccia, difesa da un lago nero e dal buio dei boschi”[38]; o all’entrata degli Inferi che, secondo Ovidio, si trova nel sud del Peloponneso, una grotta ai piedi di una falesia da cui fuoriescono esalazione solforose.[39]

Questo mondo sotterraneo è abitato da ombre, esseri senza pace che non sono né morti né vivi, le cui anime, in attesa di essere liberate, vagano smarrite (sono chiamati Outbreakers o Sleepless Dead), alla stessa stregua dei defunti che appaiono agli occhi di Enea, allorché questi giunge alla porta degli Inferi. Dwimorberg, termine che designa questa “haunted mountain”, è un luogo estremamente sinistro e terrificante che provoca persino nel cuore del nano Gimli, abituato a vivere in caverne e luoghi sotterranei, un profondo turbamento, al punto di farlo barcollare lungo il cammino. I mortali che osano addentrarsi in queste terre oscure non fanno più ritorno, com’era successo a Baldor figlio di Brego, che in passato ne varcò la soglia,[40] e pronunciare il nome di questo mondo tetro e dimenticato fa trasalire persino un grande sovrano come Théoden:

«I Sentieri dei Morti!», ripeté tremando Théoden. «Perché pronunci questo nome?» […] «Se in verità esistono tali sentieri, il loro cancello si trova a Dunclivo; ma nessun uomo vivo lo può varcare»[41]

Solamente l’erede di Isildur, Aragorn, destinato a diventare re, è in grado di attraversare incolume questi luoghi e liberare le anime di Dunclivo, una volta mantenuta in battaglia la parola data secoli prima, combattendo contro Sauron. Sebbene il Sentiero dei Morti non rappresenti per la Terra di Mezzo una sorta di Ade (l’Aldilà in Arda è rappresentato da altri mondi, come spiegato in precedenza), ne mostra tutte le caratteristiche ed è a tutti gli effetti un mondo infernale, simile per molti aspetti al modo in cui era concepito dagli autori classici, un mondo che solo un eroe come Aragorn ha la capacità di attraversare, quasi come prova per affermare il proprio diritto a salire sul trono di Gondor.[42]

5 Il bosco: la via per Faëria

Oltre a queste realtà infernali, la Terra di Mezzo si configura però come un “mondo di alberi”: a testimonianza del grande amore di Tolkien verso la natura e dell’equilibrio che, secondo il suo pensiero, l’uomo dovrebbe trovare con essa, le foreste ricoprono un ruolo di prim’ordine nella geografia dei mondi fantastici raccontati dal Nostro.[43] Già ne Il Silmarillion sono presenti ampi regni boschivi, come si è detto in precedenza riguardo al Doriath, ma il viaggio intrapreso da Frodo e compagni si snoda per la maggior parte lungo aree di natura selvaggia e incontaminata, a cominciare dalla Vecchia Foresta all’estremità orientale della Contea, sede di strani alberi come il Vecchio Uomo Salice che cattura gli hobbit tra le proprie radici, prima della loro liberazione da parte dell’enigmatico personaggio di Tom Bombadil.[44]

I boschi nell’universo tolkieniano sono luoghi fortemente carichi di mistero, come nel caso della foresta di Fangorn, dimora degli Ent, creature mezze uomini e mezze alberi, o di Bosco Atro (Mirkwood), sito a est del fiume Anduin e sede degli Elfi Silvani (da cui discende Legolas figlio di Thranduil).[45] Questo mondo, un tempo conosciuto come “Boscoverde il Grande” era presente nella mente di Tolkien fin dagli albori della sua mitologia e sembra che il Nostro si sia ispirato ad antiche leggende norrene: ne La via perduta, nella poesia dedicata a Re Sheave, compare la forma in inglese antico “Myrcwudu”, da cui, come spiega Christopher nelle note al testo, deriva il termine “Mirkwood”, che indicava “una grande foresta oscura di confine, ritrovata in modi ed usi vari e differenti”.[46] Inoltre si accenna già a Bosco Atro al termine della prima versione de La caduta di Númenor: “ed egli fuggì in una foresta oscura, e si nascose”.[47] Il commento del curatore chiarisce come Sauron (in questo racconto è chiamato ancora Thû), al termine della Seconda Era, scacciato da Mordor e privato dell’Anello da Isildur, giunge a infestare la foresta, insediandosi nell’abbandonata fortezza di Dol Goldur.[48]

L’amore del professore di Oxford per la natura rende, però, i boschi più importanti luoghi di pace e tranquillità, contrade bucoliche appartate e rifugi dalla corruzione del mondo esterno perennemente in guerra, tra cui spiccano inequivocabilmente Gran Burrone (Rivendell), la magnifica dimore elfica di Elrond, “l’ultima casa accogliente” in cui tutti i personaggi che vi risiedono trovano ristoro[49]; e soprattutto i boschi di Lothlórien, nella valle di Lorien.

Lorien è la “terra del sogno”, un mondo avvolto totalmente da alti alberi e, così come lo era la città di Gondolin, celato al resto della Terra di Mezzo. Regno di dama Galadriel e di Celeborn, conosciuto anche come “Laurelindórinan” (Terra della valle dell’oro cantante) o “Lóriland” (Valle dorata), vi vivono ancora le “cose del passato”, e l’ombra non può entrarvi. Una volta varcata la soglia del bosco, i membri della Compagnia dell’Anello si ritrovano al cospetto della regina elfica, ricevendo preziosi doni per il proprio cammino e acquietano le proprie sofferenze per un numero imprecisato di giorni.[50] Uno scambio di battute tra Sam e Frodo riguardo allo scorrere del tempo in Lorien getta una diversa luce sulla natura di questo mondo:

«Ebbene, io rammento di certo almeno tre notti passate lì, e mi par di ricordare vagamente molte altre, ma potrei giurare che non fu mai un mese intero. Sembrerebbe che il tempo non conti in quella terra!»

«E forse così è», disse Frodo. «In quella terra, chissà, eravamo in un tempo che altrove è ormai molto lontano. Credo che fu solo al momento in cui l’Argentaroggia ci riportò sull’Anduin, che ritornammo nel tempo che scorre attraverso le terre dei mortali sino al Grande Mare».[51]

Lorien è un luogo di un altro tempo, un luogo in cui il passato persiste, un mondo che sconvolge chi vi entra poiché non segue le leggi naturali. L’atto di addentrarsi in un mondo fantastico sovverte le normali leggi del tempo e i membri della Compagnia dell’Anello percorrono un regno magico, forse l’equivalente di quello che Tolkien intendeva proprio come Faërie. Se così fosse, Lorien, terra in cui niente muore e decade, si qualificherebbe come una sorta di Eden, ipotesi ancor più avvalorata da una frase presente nelle prime bozze del romanzo: “Frodo has a curious sense of walking in an older world” (Frodo ha una strana sensazione di camminare in un mondo più vecchio). Il giovane hobbit si ritrova in un mondo sovrannaturale, una terra senza tempo, lontano dai turbamenti e dai dolori del mondo reale in cui vive, e solamente quando afferma “ritornammo nel tempo che scorre attraverso le terre dei mortali”, comprende veramente l’esperienza vissuta. Inoltre, l’espressione “le terre dei mortali” implica una chiara opposizione con l’immortalità degli Elfi che caratterizza il regno delle fate descritto dal Nostro in Sulle fiabe e di conseguenza i boschi di Galadriel, “quella terra” per usare le parole di Sam citate sopra, diversa da “questa terra” (la versione originale inglese presenta l’espressione “in there”, che rende forse in maniera più efficace il contrasto con un “out there”).[52]

Tra tutti i mondi che comprendono l’universo tolkieniano, Lorien è forse quello che più si avvicina al prototipo di Faërie che è sempre stato nella mente del professore di Oxford come luogo di pace e consolazione, un mondo mitico, lontano e magico in cui rifugiarsi, accessibile tuttavia a un piccolo numero di “Elf-friends” (cfr. Ælwine ne La via perduta, che vuol dire appunto “amico degli Elfi” e da cui proviene il nome di Alboin ed Elendil), di cui Frodo è solamente l’ultimo esempio.

[1] J.R.R. Tolkien, La realtà in trasparenza. Lettere, op. cit.

[2] J.R.R. Tolkien, Il Silmarillion, cit., pp. 11-20.

[3] http://tolkiengateway.net/wiki/Atlas_of_Middle_Earth, 11/06/2014.

[4] J.R.R. Tolkien, The Lost Road and Other Writings, cit., pp. 84-116.

[5] Ibid., p. 86.

[6] J.R.R. Tolkien, Il Signore degli Anelli, cit., p. 1231.

[7] Tolkien nel proprio epistolario (La realtà in trasparenza. Lettere) e nei commenti a Il Signore degli Anelli ha sempre ribadito come la morte e l’immortalità fossero due temi centrali, se non i più importanti, della sua opera. Nelle pagine de Il Silmarillion relative alla comparsa degli Uomini nella Terra di Mezzo (pp. 123-126), la morte viene presentata come il dono di Ilúvatar, che gli Elfi, immortali e destinati a vivere nel mondo per l’eternità, invidiano. Di contro gli Uomini – e il caso dei Númóreani, la cui vita tuttavia ha una durata molto maggiore rispetto agli altri membri della propria razza, è il più evidente – bramano di raggiungere le Terre Immortali, nonostante non sia questo il percorso loro destinato nella Musica degli Ainur (Si vedano a proposito La caduta di Númenor I e II, e l’Akallabêth).

[8] J.R.R. Tolkien, Descrizione dell’isola di Númenor, in Racconti Incompiuti, Milano, Bompiani, 2001.

[9] J.R.R. Tolkien, Il Silmarillion, cit., pp. 323-355.

[10] Stefano Giuliano, J.R.R. Tolkien. Tradizione e modernità nel Signore degli Anelli, Milano, Bietti, 2013, p. 21.

[11] J.R.R. Tolkien, Il Silmarillion, cit., pp. 51-61.

[12] J.R.R. Tolkien, La realtà in trasparenza. Lettere, cit., Lettera 131.

[13] http://www.vatican.va/archive/bible/genesis/documents/bible_genesis_it.html#Capitolo%202, 14/06/2014.

[14] J.R.R. Tolkien, Il Silmarillion, cit., p. 38.

[15] Ibid., pp. 90-106.

[16] http://tolkiengateway.net/wiki/Aulë, 15/06/2014.

[17] Dal poema Christ di Cynewulf.

[18] http://tolkiengateway.net/wiki/Middle-earth#Inspiration, 15/06/2014.

[19] J.R.R. Tolkien, La realtà in trasparenza. Lettere, cit., Lettera 165.

[20] Paolo Gulisano, Tolkien, il mito e la grazia, Milano, Ancora editrice, 2001, p. 79.

[21] Da Sindar deriva l’idioma Sindarin, la lingua elfica di spessore minore, per la cui ideazione Tolkien s’ispirò al Gallese, in contrapposizione al linguaggio degli Elfi Quendi, il Quenya, ispirato al Finlandese.

[22] http://tolkiengateway.net/wiki/Beleriand, 15/06/2014.

[23] Karen W. Fonstad, The Atlas of Middle-earth, Boston New York, Houghton Mifflin Company, 1991, p. 21.

[24] http://tolkiengateway.net/wiki/Doriath, 16/06/2014.

[25] Karen W. Fonstad, The Atlas of Middle-earth, cit., p. 22.

[26] J.R.R. Tolkien, Il Silmarillion, cit., p. 138.

[27] http://tolkiengateway.net/wiki/Gondolin, 16/06/2014.

[28] J.R.R. Tolkien, Il Silmarillion, cit., pp. 299-308.

[29] Karen W. Fonstad, The Atlas of Middle-earth, cit., p. 32.

[30] Stefano Giuliano, Le radici profonde non gelano, Salerno, Ripostes, 2001.

[31] Stefano Giuliano, J.R.R. Tolkien. Tradizione e modernità nel Signore degli Anelli, cit., p. 17.

[32] Ibid., pp. 21-22.

[33] J.R.R. Tolkien, Il Signore degli Anelli, cit., pp. 1095-1113.

[34] Karen W. Fonstad, The Atlas of Middle-earth, cit., p. 146.

[35] J.R.R. Tolkien, Il Signore degli Anelli, cit., p. 1128.

[36] Ibid., p. 1130.

[37] Stefano Giuliano, J.R.R. Tolkien. Tradizione e modernità nel Signore degli Anelli, cit., p. 27.

[38] Virgilio, Eneide, Libro VI, versi 237-238.

[39] Da notare come, fin dal mondo antico, le attività vulcaniche fossero già associate ai mondi infernali.

[40] http://www.eldalie.com/Dizionario/index.asp?txtTermine=Sentieri%20dei%20Morti, 24/06/2014.

[41] J.R.R. Tolkien, Il Signore degli Anelli, cit., p. 937.

[42] Nicolas Liau, La catabasi: J.R.R. Tolkien e la tradizione antica, pubblicato in collaborazione con il sito Tolkiendil, Francia, 2003, traduzione a cura di B. L. dell’Associazione romana studi Tolkieniani, in http://www.jrrtolkien.it/wp-content/uploads/2011/08/La_catabasi_di_Tolkien-p.pdf, 25/06/2014.

[43] Paolo Gulisano, Tolkien, il mito e la grazia, cit., p. 24.

[44] J.R.R. Tolkien, Il Signore degli Anelli, cit., pp. 154-169.

[45] Cfr. J.R.R. Tolkien, Lo hobbit, Milano, Adelphi, 1989.

[46] J.R.R. Tolkien, The Lost Road and Other Writings, cit., p. 100.

[47] Ibid., p. 19.

[48] http://tolkiengateway.net/wiki/Dol_Guldur, 26/06/2014.

[49] Kevin W. Fonstad, The Atlas of Middle-earth, cit., p. 127.

[50] J.R.R. Tolkien, Il Signore degli Anelli, cit., pp. 414-469.

[51] Ibid., p. 480.

[52] Verlyn Flieger, A Question of Time: J.R.R. Tolkien’s Road to Faërie, cit., pp. 89-115.

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